lunedì, Luglio 7, 2025
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LA SICUREZZA ONTOLOGICA

Il concetto di sicurezza ontologica è stato elaborato da Anthony Giddens nel 1991. Si riferisce a un senso di ordine, sicurezza e continuità in un ambiente in rapido mutamento.

               Questo concetto di sicurezza si fonda principalmente sul possesso di una visione positiva di sé, del mondo e del futuro.

               L’attuale scenario internazionale offre diversi spunti di riflessione sulle incombenti minacce, relativamente al senso di continuità delle persone nelle loro vite: le guerre, i cambiamenti climatici, l’economia, la salute, il cedimento delle strutture sociali.

               Tutto si svolge come se ci trovassimo su una giostra impazzita.

               Prima di capire, parliamo. Prima di pensare, digitiamo. Prima di guardare con gli occhi, scattiamo una foto. Nella saturazione di una comunicazione frenetica e autoreferenziale non ci sono più spazi bianchi.

               Non ci sono pause. Non c’è ascolto, se non quel tanto che basta a replicare ancora, a pestare rapidamente una tastiera o un display, ad accumulare una documentazione che sostituisce la fruizione diretta degli eventi, delle cose, degli altri.

               Gli strumenti della comunicazione sono preponderanti, onnipresenti e il solo atto di usarli sembra assorbire e condizionare i contenuti, che viaggiano verso i loro destinatari attraverso una serie di filtri, come: la scrittura breve, la fretta, la mancanza di una buona riflessione, la distanza, l’esposizione mediatica, il narcisismo.

               Elementi che molto spesso alterano ingannevolmente il senso autentico.

               La persona, in prima persona, si sta facendo obsoleta e anche quando appare non è più lei e basta: è tutto quello che ha scritto, le foto che ha pubblicato, le parole seminate in giro, inviate di corsa, magari mentre faceva altro, forse al semaforo, per riempire anche quel tempo senza pensare troppo.

               Un individuo è accompagnato e presentato da tutte queste informazioni, che apparentemente dovrebbero svelarlo senza pietà e invece lo offuscano come una nuvola, lo travisano come un gioco di specchi, e lo separano dal resto.

               In questo “turbillon” non è facile, come scrive Antoine de Saint-Exupery.”…..dopo aver piantato una ghianda al mattino, sperare di sedere nel pomeriggio all’ombra della quercia”.

               Oggi, qual è il luogo sicuro per “piantare una ghianda?”

               Per rispondere a questa domanda può essere utile rivolgersi a un consulente professionale, capace prodromicamente di: rassicurare l’imprenditore in relazione ai rapidi mutamenti in atto a livello internazionale; individuare le aree geografiche a minor rischio; ipotizzare quali potrebbero essere gli scenari geopolitici maggiormente sicuri che andranno a delinearsi nel futuro.

               Ritengo che ancora oggi sia possibile guardare oltre i confini nazionali per far crescere il proprio business, malgrado l’intensificarsi degli attriti commerciali a livello globale.

               Per rappresentare tale situazione, quale miglior espressione può essere più calzante del “beggar-thy-neighbor” (“rovina il tuo vicino”, detta anche “politica del rubamazzo”, che produce benefici unicamente al paese che le adotta a danno degli altri) designa le politiche che cercano di risanare la propria economia aumentando le tariffe o limitando le importazioni. Nel nostro mondo globalizzato e sempre più interdipendente, però, le ritorsioni economiche conducono spesso a risultati imprevisti descritti con l’espressione “beggar-thyself” (“rovina te stesso”).

               Gli attriti commerciali hanno avuto un impatto negativo sulle prestazioni di molte piccole e medie imprese, inducendo ristrutturazioni e conseguenti perdite di posti di lavoro. Pur convenendo sull’importanza di migliorare indici economici come la bilancia commerciale, il perdurare di condizioni che peggiorano la vita di persone già di per sé vulnerabili, sia in patria sia all’estero, non può che far crescere l’instabilità sociale in tutto il mondo.      

               Le questioni commerciali influenzano profondamente l’economia e la società. Gli attuali scenari di guerra hanno fortemente anch’esse contribuito ad acuire le minacce per la sicurezza ontologica, così come la competizione economica, spesso condotta in modo continuativo e in gran parte inconscia, i cui effetti vengono considerati il risultato di una sorta di “selezione naturale”.

               Non vi è ombra di dubbio che questa fotografia possa indurre allo scetticismo, ma paradossalmente è proprio durante i periodi di crisi che sono nate le più grandi opportunità.

               Per esempio territori come gli Emirati Arabi o il continente africano non sono affatto da trascurare.

               Oggi internazionalizzarsi non è più un’opzione per pochi, è un’opportunità concreta anche per le PMI. Non servono strutture enormi. Serve visione, metodo e il giusto supporto.

               Espandersi all’estero è una realtà concreta in alcuni paesi, i quali consentono di accedere a nuovi mercati, clienti diversi, economie in crescita. Sappiamo bene che espandersi all’estero significa anche “diversificare il rischio”, ovvero rendere la propria azienda più solida e meno dipendente da un solo mercato.

               Ma attenzione! L’internazionalizzazione non si improvvisa. Ogni mercato ha regole, tempi, rischi e opportunità diverse.

               Ecco a cosa serve una buona consulenza. La buona consulenza aiuta le aziende a:

  • analizzare i mercati giusti, con dati concreti e non solo intuizioni;
  • strutturare un piano finanziario sostenibile, che includa investimenti, fonti di finanziamento e ritorni attesi;
  • gestire gli aspetti normativi, fiscali, societari, evitando errori costosi.

               In buona sostanza, una buona consulenza agevola l’impresa a trasformare un’idea ambiziosa in un progetto realizzabile e profittevole.

               Espandersi è una sfida, ma con i partner giusti può diventare la svolta del business aziendale.

               Si deve costruire un piano d’azione passando da un approccio “tentativo” a uno pianificato, misurabile e orientato al ritorno economico.

               Certo che i mercati esteri sono complessi, con: normative molto diverse da quelle europee, sistemi fiscali e bancari particolari, importante componente relazionale e culturale nel fare business.

               Una consulenza ben strutturata permette di:

  • fare una due diligence preventiva: si analizzano rischi, costi, partner locali, barriere normative;
  • costruire un business plan su misura, tarato sul mercato target, e utile anche per attrarre investitori o istituti finanziari;
  • scegliere la struttura societaria più adatta: branch, joint venture, società di diritto locale, ecc;
  • trovare capitali o agevolazioni: sia pubblici sia privati;
  • gestire la fase execution: apertura filiali, assunzione di personale, adeguamento dei sistemi amministrativi e fiscali. 

               In conclusione, espandersi verso nuovi mercati è una sfida che può diventare un’opportunità straordinaria, ma non si improvvisa.

               Una consulenza di Corporate Finance solida, personalizzata e internazionale è ciò che può fare la differenza tra un’investimento rischioso e una crescita strategica e sostenibile.

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