L’andamento dei beni di rifugio e dei beni di riferimento al tempo del coronavirus

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Gli effetti dell’allarme coronavirus sui mercati, l’indebolimento del dollaro, le tensioni in Medio Oriente e la guerra commerciale fra Usa e Cina.

Tra i tanti effetti sul sistema economico mondiale che sta innescando il Coronavirus c’è l’oro che vola vicino ai 1.700 dollari l’oncia, mentre il petrolio è colpito da un ribasso superiore al 5 per cento.

La causa di ciò è l’allarme coronavirus che è tornato a turbare i mercati, con il boom di contagi in Italia, Corea del Sud e Iran che ora fanno temere una pandemia e altri fattori geopolitici, già in atto prima della diffusione del virus, quali l’indebolimento del dollaro, le tensioni in Medio Oriente e la guerra commerciale fra Usa e Cina, i cui confini potrebbero ora essere ridefiniti proprio dalla diffusione del virus.

Negli ultimi cinque anni fra i 10 Paesi con le maggiori riserve di oro solo Russia, India e Cina si sono mosse su questo mercato per comprare. Nello stesso periodo la Turchia ha ridotto le sue riserve del 27% e il Venezuela ha venduto il 56% delle sue riserve auree.

E mentre sulle materie prime l’effetto della fuga dal rischio è stato particolarmente pronunciato c’è invece una ritrovata corsa all’oro; infatti, se è vero che nei momenti in cui la crisi morde di più, l’oro è sempre il bene rifugio più sicuro e apprezzato, di fronte all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo l’oro vola ancora di più.

L’oro quindi è tornato ad essere protagonista, cosi che verso la fine di febbraio e inizio marzo le quotazioni, in rialzo di oltre il 2%, si sono spinte a sfiorare 1.690 dollari l’oncia, ai massimi da gennaio 2013. E ormai gli analisti tecnici non vedono più grandi ostacoli nella corsa verso la soglia psicologica dei 1.700 dollari. A settembre 2019, dopo una corsa partita a giugno che gli ha fatto guadagnare 250 dollari, valeva poco più di 1.500 dollari. Tuttavia, il prezzo di oggi non è un record.

Nel 2011, infatti, per acquistare un’oncia di oro bisognava sborsare 1.900 dollari (ad oggi circa 1700 euro).

Per contro, ad aiutare questi rialzi, c’è il crollo dei rendimenti dei titoli di Stato: il tasso del decennale Usa è sceso all’1,419%, il minimo da luglio 2016, mentre il trend dei Bund tedeschi è ormai in negativo, mentre di positivo si registra anche un abbassamento dei tassi sui mutui ed una nuova spinta verso i fondi specializzati sui metalli preziosi.

Quindi questo appare senz’altro un ottimo momento per comprare oro: questa materia prima, grazie alla scarsità dell’offerta e alla certezza della richiesta, risponde ottimamente alla necessità di preservare il capitale, è resiliente alle fasi di volatilità e fornisce adeguata diversificazione al portafoglio; il suo valore, nei prossimi mesi, potrebbe persino crescere.

Una rilevante quota della domanda di oro arriva ad esempio dal settore dentistico. Secondo i dati del World Gold Council, la richiesta di metallo giallo in questo ambito nel 2019 è però scesa dell’11% rispetto all’anno precedente.

Alta anche la richiesta da parte delle aziende tecnologiche, anche se anche in questo caso in diminuzione del 3% rispetto al 2018.

Di questa ricerca di beni rifugio ha beneficiato anche in minima parte l’argento (salito fino a 18,90 $/oncia, il massimo da settembre) ma non il platino, tantomeno il performante palladio è riuscito a sottrarsi all’ondata di vendite: il metallo – prezioso ma impiegato soprattutto nell’industria automobilistica, per le marmitte dei veicoli a benzina – ha accusato un ribasso vicino al 4%, che l’ha respinto verso 2.600 dollari l’oncia sul mercato spot londinese.

Per il petrolio, particolarmente sensibile ai timori sulla crescita, è stata una seduta molto difficile: il Brent è arrivato a perdere più del 5% ripiegando sotto 56 dollari al barile, mentre il Wti è sceso sotto 51 dollari.

Il rame, altro importante barometro dell’economia globale, è intanto sceso a 5.680 dollari per tonnellata al London Metal Exchange, dopo un ribasso di quasi il 2%.

Tra i metalli industriali si fa notare la performance negativa dello zinco, impiegato in siderurgia, che è crollato ai minimi da giugno 2016: le scorte nei magazzini della borsa londinese sono aumentate di oltre il 50% in tre settimane e alla Shanghai Futures Exchange sono ai massimi da due anni .

Stessa sorte negativa è toccata all’acciaio tanto che  Baowu, gigante siderurgico cinese, ha previsto una perdita di produzione del 5%, pari a un milione di tonnellate di acciaio, nel primo trimestre per colpa del coronavirus (nel 2019 il gruppo aveva prodotto ben 96 milioni di tonnellate di metallo).

Un rallentamento analogo è stato denunciato da Jiangsu Shangang Group, che per rispondere alle difficoltà interne afferma di aver accelerato le esportazioni di acciaio.

Fonti: Il Sole 24 Ore e Qui Finanza

Autore: Palombi Giorgio, Suero & Partners, consigliere di AS FINANZA & CONSUMO