venerdì, Novembre 1, 2024
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“IMPROBABILE CHE PAGHI”: Fondi Comuni di Investimento, uno strumento complesso per soluzioni semplici.

Intervista all’avv. Colomba De Simone, Socio fondatore CDS Legal STA srl, società tra avvocati specializzata in servizi di consulenza e gestione del contenzioso in outsourcing in favore di importanti istituti finanziari, nonché fondi di investimento internazionali.

Unlikely To Pay (UTP) significa letteralmente in italiano “improbabile che paghi”. Con questa espressione, le banche catalogano quelle situazioni economiche difficili, del debitore che, a fatica, riesce a pagare le rate o gli interessi legati a un prestito.

Si tratta di situazioni, rispetto alle quali affrontare, a monte, una difficoltà significa ridurre notevolmente la potenziale produzione a valle di effetti non voluti, con interruzione di una concatenante continuazione di problemi.

Occorre in tali casi una strategia ad hoc (a monte) per evitare una degenerazione dello stato di indebitamento e limitare il rischio di insolvenza irreversibile.

Come? Qual è la prima immagine che ci viene in mente, pensando al debitore in difficoltà che rischia di divenire insolvente nei rapporti con la banca?

Lascio ad ognuno di rispondere individualmente a questa domanda.

Esaminando la storia del nostro continente, è possibile guardare alla situazione del nostro debitore insolvente, da una prospettiva che apparirà forse un po’ diversa rispetto a quella ordinaria.

Quando nacquero le compagnie delle Indie olandesi, le colonie orientali, con le preziose merci di cui disponevano, rappresentavano un eccezionale occasione d’investimento per chiunque disponesse di un capitale sufficiente a supportare delle lunghe spedizioni via nave. Al contempo, i pericoli della navigazione in un percorso così difficile erano molto accentuati, tanto che spesso molti carichi andavano completamente perduti, assieme al vascello e all’equipaggio.

Insomma anche all’epoca si pose un problema di Unlikely To Pay (UTP).

La soluzione fu semplice quanto straordinaria: i mercanti olandesi si federarono, dividendo i singoli vascelli in quote e diversificando così il rischio di fallimento della spedizione. In questo modo, diveniva possibile minimizzare gli eventi avversi, garantendosi al contempo i vantaggi derivanti dal commercio con le Indie. Così nacquero i fondi comuni di investimento.

Oggi si riconfigura un panorama simile a quello su descritto e gli intermediari finanziari, hanno messo in campo soluzioni analoghe: le banche procedono alla cessione a valori inferiori rispetto al gross book value dei crediti UTP, che divengono appetibili per investitori con elevato profilo di rischio, che sottoscrivono quote di fondi di investimento alternativi specializzati nell’investimento in tale tipologia di credito.

Sul tema abbiamo intervistato Colomba De Simone, Socio fondatore CDS Legal STA srl, società tra avvocati specializzata in servizi di consulenza e gestione del contenzioso in outsourcing in favore di importanti istituti finanziari, nonché fondi di investimento internazionali.

A lei abbiamo chiesto di spiegare in poche parole quali sono i meccanismi di funzionamento di questa nuova frontiera degli investimenti.

I fondi specializzati negli UTP sono fondi alternativi (FIA), che presentano un alto profilo di rischio e pertanto sono generalmente fondi chiusi riservati ad investitori professionali. Vengono costituiti con ricorso al pubblico risparmio per la sottoscrizione di quote e le somme raccolte sono investite nell’acquisto di crediti deteriorati.

Sono strumenti fortemente regolati e sottoposti alla vigilanza della Banca di Italia e di Consob.

Il Fondo può comprare direttamente i crediti, oppure sottoscrivere obbligazioni veicoli di cartolarizzazione (SPV), che riducono ulteriormente il rischio per gli investitori. Le SGR, che hanno la responsabilità della gestione dei Fondi, affidano l’incarico di servicing ad una società di gestione esterna o a un Master Legal che si occupano della gestione degli asset del portafoglio affidato, sulla base dei business plan approvati dagli investitori.

Che differenza c’è tra crediti NPL (non performing loans) e crediti UTP (unlikely to pay)?

I Non Performing Loans sono esposizioni debitorie passate a sofferenza. I creditori devono necessariamente attivare le azioni esecutive per recuperare le somme loro spettanti ed escutere le garanzie a sostegno delle proprie pretese.

Nel caso degli UTP abbiamo invece situazioni ancora intermedie, con il contratto originario di finanziamento ancora non risolto, nel senso che la persona fisica titolare dell’esposizione debitoria ha ancora un reddito adeguato e l’impresa ha una situazione di bilancio tale da poter far fronte al credito della banca, pur essendo in una situazione di momentanea, o comunque reversibile, difficoltà.

La gestione degli NPL è dunque una gestione meramente liquidatoria, mentre la gestione degli UTP persegue la ristrutturazione del debito.

Gli UTP possono essere qualificati in tre tipologie differenti:

1) UTP, dove l’inadempienza è quasi irreversibile e pertanto la gestione è meramente liquidatoria.

2) UTP immobiliare: garantito da un sottostante asset immobiliare, che potrebbe dar luogo (attraverso operazioni di compravendita) a quella liquidità necessaria a riposizionare sul mercato il debitore e a soddisfare il creditore.

3) UTP in senso stretto, ove si ha uno stato di temporanea difficoltà che potrà essere superata attraverso soluzioni tecniche mirate (operazioni di ristrutturazione societaria, nuova finanza, cessione parziale di attività, moratoria etc ).

Attraverso la gestione di fondi specializzati in raccolta di investimenti sugli UTP, possono concretizzarsi esperienze di incontro virtuose, tra creditori e debitori, nella prospettiva di una risoluzione vantaggiosa per tutti della possibile controversia?

Assolutamente si, ed è questo l’obiettivo fondamentale della gestione degli UTP.

Si tratta di una gestione personalizzata e multidisciplinare, che implica il coinvolgimento di diverse professionalità.

Sono necessarie competenze in ambito fallimentare, bancario, societario, ma anche finanziario ed una visione industriale, per sfruttare le soluzioni tecniche più adatte a riportare in bonis il debitore, consentendo alle piccole medie imprese di tornare ad essere soggetti attivi nell’economia reale.

Potrà svilupparsi attraverso questi strumenti senz’altro un meccanismo virtuoso, a sostegno della piccola media impresa e dell’economia reale. In altri termini, gli intermediari, difendendo i loro investimenti, potranno andare a svolgere indirettamente una funzione anche, lasciatemi passare il termine, “etica”.

Salutando l’avv. De Simone che ringraziamo per la disponibilità manifestata, ci riserviamo di approfondire ulteriormente questo tema con successive interviste ed incontri, anche durante il mese dell’educazione finanziaria.

Avv. Valentina Augello, segretario generale di AS Finanza&Consumo.

Riproduzione riservata ©

Vedi anche https://www.asfinanza.com/finco-lettera-aperta-al-presidente-del-consiglio-dei-ministri-ed-al-governo/

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