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I certificati di forza maggiore: la burocrazia italica non reggerà al vaglio della Giustizia

La assorbenza del fattore “lockdown” come causa dell’inadempimento è fatto tutt’altro che ovvio e semplice da dimostrare.

La mossa seguita alla cristallizzazione del Covid-19 come ipotesi tipica di forza maggiore, contenuta nel decreto Cura Italia, a tutela dei soggetti incolpevolmente inadempimenti contrattuali ai tempi del Coronavirus è stata immediatamente trasferita – duole dirlo – in un adempimento burocratico, modello di vita della pubblica amministrazione.

Basti pensare alle modalità di accesso al credito garantito del decreto “Liquidità” con la potenza di fuoco di 400 miliardi, annunciava garrulo il nostro Presidente del Consiglio: “mancava un bollo, due timbri una firma”, cantava un grande Concato negli anni 90.

Tornando a noi, il gravissimo problema che affligge prevalentemente la PMI, ed in particolare in fornitori di grandi multinazionali nei vari passaggi della filiera produttiva, ovvero il rispetto dei termini e tempi dell’assoluzione del puntuale adempimento delle obbligazioni contrattuali di vario genere, è che la assorbenza del fattore “lockdown” come causa dell’inadempimento è fatto tutt’altro che ovvio e semplice da dimostrare.

La previsione dell’art. 91 del decreto “Cura Italia”, per cui

il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti

è di una modestia davvero disarmante. Un po’ la scoperta dell’acqua calda. La forza maggiore e l’impossibilità sopravvenuta erano mezzi già più che idonei.

Il MISE si è mosso nella direzione di autorizzare le Camere di Commercio a rilasciare certificazioni di forza maggiore legata alle restrizioni imposte per il contenimento dell’epidemia. La previsione è stata caldeggiata da Confindustria che ne ha chiesto l’inserimento nell’art. 91 citato.

La notizia, che avevamo già anticipato nella precedente news (https://www.asfinanza.com/coronavirus-varra-come-causa-di-forza-maggiore-nei-contratti-internazionali/) merita oggi un approfondimento.

L’iniziativa non è altro che una ridondante ripetizione della clausola prevista in sede europea dall’ICC (“Force Majeure Clause” del 2003), che annovera espressamente tra gli eventi che legittimano l’applicazione di tale clausola guerre, atti di terrorismo, terremoti ed epidemie.

Va da sé che, sul piano degli equilibri processuali in sede istruttoria, questa non rimane altro che una dichiarazione di parte, priva pertanto della consistenza attribuita alle prove tipiche del nostro sistema giurisdizionale.

E’ fin troppo altrettanto ovvio che il fattore non potrà essere scollegato dal piano della realtà, pur nella sua drammatica verità. È del pari evidente che, in ogni singola fattispecie, non potranno che essere i singoli connotati della controversia a ritenere la idoneità della scriminante a configurare la non imputabilità al debitore dell’inadempimento (o ritardo nel).

I contratti nella maggior parte delle ipotesi sono poco strutturati, determinando incertezze sulle tempistiche ed i termini delle prestazioni, senza contare i problemi di competenza giurisdizionali, e la forza contrattuale dei contraenti forti.

Di avv. Marco De Fazi, Studio Legale De Fazi.

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Vedi anche https://www.asfinanza.com/gli-aiuti-del-cura-italia-alle-partite-iva-e-pmi/

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